LEADER, IMITATORI E SABOTATORI
LEADER, IMITATORI E SABOTATORI: DINAMICHE PSICOLOGICHE DA CAMPO NEL SOFTAIR
Il softair è fatto di repliche, tattiche, mappe e mimetiche. Ma chi lo vive sa che esiste un’altra partita, invisibile ma potentissima, che si gioca ogni volta che il team si raduna: quella delle dinamiche sociali.
In squadra non volano solo pallini: circolano sguardi, alleanze, rivalità, ammirazioni e tradimenti silenziosi. A volte più duri di un assalto in CQB.
Qui racconto alcune situazioni realmente accadute nella mia esperienza, per mostrare come dietro al gioco agiscano meccanismi psicologici e sociali che si ripetono come copioni.
Episodio 1 — L’eroe del momento
Entro in un nuovo club. Non conosco nessuno, ma porto il mio stile: attrezzatura curata, idee su come impostare i movimenti, una certa esperienza, mi si chiede di valutare le persone se sono idonee o no, mi si chiede a quale evento partecipare e come lo strutturerei io e via dicendo
E dopo poche partite succede spesso: qualcuno si avvicina, osserva, chiede consigli. Diventa quasi un’ombra: compra lo stesso gilet, la stessa replica, copia i miei movimenti. A volte mi osanna pure davanti agli altri:
“Lui sì che sa giocare!”
"M3rlo l'uomo partita"
"Chiediamo a lui è meglio"
"Dammi un consiglio"
Gratificante, certo. Ma è anche l’inizio del copione.
Chiave psicologica: Idealizzazione. Qualcuno trova in te un modello che dà sicurezza e identità. Più in alto ti mettono, più vertiginosa può essere la caduta.
Episodio 2 — La lama sottile dell’invidia
Dopo qualche anno la musica cambia. La stessa persona che prima mi imitava in tutto comincia con le battute:
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“Eh ma tu vuoi sempre fare il capo…”
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“Sei sempre al centro dell’attenzione.”
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“Tanto senza di te giochiamo meglio.”
"Chi se ne frega se non c'è lui."
"Gioco oramai da un anno posso insegnare agli altri anche senza il suo consiglio."
Un giorno, in mezzo a tutti, fa una battuta sul mio equipaggiamento, sapendo che ci tenevo. Risate generali. Io zitto, ma dentro rode.
Chiave psicologica: Invidia. Passaggio tipico: dall’ammirazione al desiderio di “abbassare” chi spicca. In sociologia si parla di “sindrome del papavero alto”: chi cresce troppo va tagliato.
Episodio 3 — Il gioco sporco (anche dall’alto)
Passo successivo: piccole insinuazioni con altri compagni, dubbi sulla mia lealtà o correttezza.
Risultato? Piano piano mi trovo più isolato: non perché io sia cambiato, ma perché il gruppo viene convinto che “il problema” sia io.
E qui entra un altro fattore spesso taciuto: molte volte sono gli stessi presidenti o i consigli direttivi a pilotare la faccenda.
Se comandi “più di chi conta” nel club, ma non hai cariche ufficiali, diventi una minaccia. E non solo non ti danno spazio, ma ti ostacolano per impedirti di prendere qualsiasi incarico.
Spesso vieni anche scelto apposta dai compagni più vigliacchi per fare la voce autorevole al posto loro. Ti spingono davanti come rappresentante, come “colui che sa parlare”, ma in realtà è una trappola sociale. Una volta che ti sei esposto, sei tu a prenderti i colpi, mentre loro restano protetti nell’ombra.
E il paradosso più grande è questo: gli stessi vertici che ti ostacolano pubblicamente, in privato ti interpellano continuamente come consigliere segreto. Ti chiedono pareri, ti consultano per ogni decisione importante, ma non ti concedono mai un ruolo ufficiale. È come se riconoscessero la tua autorevolezza, ma solo nell’ombra, senza ammetterla davanti agli altri.
Alla fine, quasi inevitabilmente, lascio il club. E, puntuale come un orologio, quelli che mi avevano danneggiato spariscono poco dopo, come se la loro missione fosse finita.
Chiave psicologica: Capro espiatorio. Il gruppo, a volte con la regia dei vertici, si compatta scegliendo una vittima simbolica su cui scaricare tensioni e rivalità interne.
Episodio 4 — Il riconoscimento esterno
Un giorno, durante una partita in un agriturismo, un gruppo di turisti incuriositi si è fermato a guardarci giocare. Alla fine della sessione si sono avvicinati e, senza esitazione, hanno iniziato a rivolgermi domande come se fossi io il responsabile, il “maestro” del gruppo.
“Complimenti, si vede che lei è il capo, come li coordina bene!”
Io non avevo nessuna carica ufficiale, eppure dall’esterno era chiaro chi avesse l’autorevolezza reale.
E questo episodio, se da una parte mi ha dato soddisfazione, dall’altra ha aumentato l’ostilità di chi già mi percepiva come “troppo leader” all’interno.
Episodio 5 — La Milsim con 200 giocatori
Il caso più eclatante è stato durante una grande Milsim con circa 200 partecipanti.
Appena arrivato, non conoscevo praticamente nessuno. Eppure, dopo il briefing iniziale, la mia fazione mi ha eletto capo quasi all’unanimità.
Non per gerarchia, non per titoli, ma per riconoscimento spontaneo: la gente percepiva in me il riferimento, la voce da seguire.
Ricordo ancora la scena: decine di persone che mi guardavano in attesa di ordini, e io che, senza averne chiesto il ruolo, mi sono trovato a organizzare la strategia di centinaia di giocatori.
Un riconoscimento naturale, che da un lato mi ha confermato di avere una leadership innata, ma dall’altro ha reso ancora più evidente il paradosso: spesso chi non ti vuole leader è proprio chi teme questo consenso spontaneo.
Analisi: psiche individuale e dinamiche di gruppo
Questi comportamenti non nascono per forza da disturbi clinici, ma da bisogni umani e logiche di potere:
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Identità e sicurezza: un leader funziona da riferimento, finché non minaccia l’equilibrio.
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Equilibrio gerarchico: se uno spicca troppo, il gruppo tende a ridimensionarlo.
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Fragilità personali: insicurezze e competizione trasformano l’ammirazione in aggressività.
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Arena d’ego: il softair è un gioco di squadra, ma resta anche un campo di confronto individuale.
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Vertici gelosi: i presidenti/consigli difendono il loro ruolo, temendo chi ottiene consenso senza titoli.
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Trappole sociali: i vigliacchi che non vogliono esporsi spingono avanti chi ha più carisma, per poi lasciarlo bruciare.
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Consulenza occulta: i vertici, pur sminuendoti in pubblico, ti cercano come consigliere segreto in privato.
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Riconoscimento esterno: spesso chi guarda da fuori o incontra per la prima volta percepisce subito il vero leader.
Come gestire il ciclo
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Smonta l’illusione dell’osanna: l’ammirazione iniziale può girarsi.
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Mantieni un profilo operativo, non arrogante.
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Distribuisci ruoli e responsabilità: riduce la polarizzazione.
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Nomina il copione quando lo vedi: riconoscerlo è già disinnescarlo.
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Attenzione ai vertici: se ti percepiscono come pericolo, il terreno è minato.
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Riconosci le trappole: non farti esporre da chi non ha il coraggio di esporsi.
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Valorizza il riconoscimento esterno, ma non ostentarlo.
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Ricorda che è un gioco: la passione deve restare sopra le dinamiche.
Conclusione
Il softair è uno specchio della psiche umana: tra mimetiche, briefing e tattiche riviviamo in piccolo i drammi di eserciti, uffici, scuole e famiglie.
Chi spicca diventa leader, poi bersaglio, poi capro espiatorio. Spesso persino con l’appoggio dei vertici, o dopo essere stato spinto avanti da chi non ha il coraggio di esporsi.
E paradossalmente, quegli stessi vertici che ti ostacolano davanti al gruppo, in privato ti trattano come il loro consigliere di fiducia.
E a volte, persino in contesti enormi — come una Milsim da duecento persone — emerge chi ha davvero l’autorevolezza naturale.
È un ciclo antico quanto l’uomo.
Riconoscerlo non rovina il gioco: lo rende più consapevole.
La vera vittoria, alla fine, non è fare più kill: è capirci meglio. Dentro e fuori dal campo.
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